I grani antichi (per un pane moderno)

Ogni grano ha la sua farina. In teoria è cosi, ma in pratica per arrivare al pane ci vuole la giusta farina, e non solo.

Quando andiamo al supermercato, notiamo tantissime tipologie di farine: 0, 00, Manitoba, per pizze, per dolci, integrali, etc; ma cosa significa?

Dobbiamo pensare che la classificazione commerciale delle farine in Italia è data dal contenuto dei minerali, o meglio dal residuo delle ceneri, e non dalle proprietà reologiche o fermentative. Quindi i parametri di legge indicano in termine decrescente (0,00,1,2 e integrale) come la presenza di ceneri, paragonandoli a 5 gradi diversi di raffinazione. Immaginiamo il processo in un mulino industriale: il primo passo è quello di pulire il grano dalle impurità, tramite setacci, cicloni ad aria e selezionatrici ottiche; il grano viene successivamente umidificato e poi passato da laminatoi che effettuano la rottura, lo svestimento e la macinazione; e a ogni passaggio una setacciatura. In questo processo si decide la classificazione commerciale, in quanto avviene il grado di abburattamento che è inteso come la quantità di farina in kg che si ricava da 100 kg di grano. All’aumentare del tasso di abburatamento (farina integrale) troviamo più vitamine, sali minerali e proteine.

In media quando andremo a macinare il nostro Grano Antico avremo queste percentuali di prodotti: farina 75-78%; farinaccio e farinetta 2,5-3 %; crusca, cruschello e tritello 20-22%; scarti da pulitura 0,2-2%.

Luca Frabetti e Ulisse Masolini

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