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Discarica Razzaboni: il lungo percorso della bonifica

Si è tenuto ieri sera a San Giovanni in Persiceto, l’incontro pubblico organizzato da Legambiente con la partecipazione tra gli altri del Comandante del Corpo Forestale dello Stato Giuseppe Giove, dell’Assessore Regionale all’Ambiente Paola Gazzolo, e del Sindaco Renato Mazzuca, per approfondire la situazione della bonifica della discarica Razzaboni.

Una discarica abusiva scoperta nel 2001 grazie alle indagini del Corpo Forestale dello Stato: un caso che, dopo 14 anni dal sequestro, mette in luce il fallimento della normativa precedente e l’importanza di avere finalmente inserito gli ecoreati nel codice penale. Con la legge n. 68 del 22 maggio 2015, che entra in vigore proprio oggi, l’Italia ha finalmente un valido strumento di contrasto ai tanti illeciti ambientali che ancora oggi vengono commessi, a partire dai casi di discariche abusive come questa. Un’area di circa 5,6 ettari, quella Razzaboni, formalmente operante nel settore degli agglomerati cementizi, ma in realtà trasformata in una discarica abusiva di oltre 16.000 tonnellate di rifiuti speciali ed inquinanti che hanno portato grandi profitti nelle tasche dell’azienda, facendo ricadere invece sulla collettività i danni ambientali ed il costo della bonifica e del ripristino dello stato dei luoghi.

“Un caso, quello di San Giovanni in Persiceto – dichiara Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente Nazionale – che dimostra la peculiarità delle indagini necessarie a individuare i reati ambientali e la professionalità del personale di polizia impegnato nel perseguirli. Competenze di cui il Corpo Forestale dello Stato è la più alta espressione, e che rischiano di essere neutralizzate dal recente disegno di legge del Governo sull’accorpamento del Corpo Forestale dello Stato ad altra forza di Polizia. In un momento infatti in cui gli investimenti della criminalità organizzata si stanno spostando sempre di più verso l’ambiente sfruttando i tanti settori che si prestano all’illegalità (rifiuti e cemento, ma anche agromafie e reati contro la flora e gli animali), la specializzazione della tecnica investigativa e il coordinamento tra le forze esistenti, siano esse di indagine o giudiziarie, è cruciale. Per questo ci auguriamo che si abbandoni l’idea di procedere indiscriminatamente alla soppressione di un Corpo che si è sempre rivelato fondamentale per la tutela dell’ambiente”.

Dalla lunga e partecipata serata è emersa la situazione attuale della bonifica del sito: dopo i primi controlli, effettuati nel 2001, che hanno portato alla scoperta di un primo cumulo di rifiuti pericolosi illecitamente smaltiti e costituiti da fanghi di lavorazione derivanti principalmente da attività di trattamento di metalli e rifiuti e da centri di stoccaggio di tutto il Nord Italia depositati direttamente sul terreno, sono incominciate le prime analisi da parte di Arpa. Nel 2002 il cumulo è stato classificato come composto di rifiuti pericolosi con presenza di Nichel (e altri metalli pesanti) in concentrazione percentuale superiore ai limiti di legge. Le successive analisi svolte nel 2004, dopo un intervento di Razzaboni di movimentazione dei rifiuti e suddivisione del cumulo in 16 parti, ne hanno confermato la pericolosità ed è stato dato il via ai primi controlli sulle falde. In seguito, dopo il fallimento della ditta nel 2005 il Comune, subentrato ad essa, ha proceduto alla messa in sicurezza di emergenza del cumulo conclusa nel 2008. Soltanto nel 2010 sono stati scoperti però ulteriori depositi di rifiuti pericolosi, per un totale di 27mila metri quadri, come dichiarato ieri dai tecnici del Comune, che portano all’approvazione nel 2012 del progetto di messa in sicurezza dell’area, approvato definitivamente nel 2015 solo dopo essersi conclusa la procedura di esproprio da parte del Comune. Sono al via ora le attività di messa in sicurezza dell’area, fatta eccezione per il primo cumulo rinvenuto nel 2001 (che al momento è in messa in sicurezza di emergenza e su cu cui occorrerà quanto prima intervenire per avviare la bonifica vera e propria). I fondi messi a disposizione sono 3.600.000 euro, finanziati dalla Regione Emilia Romagna.

“I veleni della discarica di Razzaboni – dichiara Marisa Albanese, presidente del Circolo Terre d’Acqua – e i cumuli di rifiuti ancora presenti costituiscono per il nostro territorio un rischio da eliminare il prima possibile. Solo con la loro rimozione e un intervento efficace di bonifica di tutta l’area, potremmo infatti mettere la parola fine sulla vicenda ed escludere qualsiasi minaccia  per l’ambiente e la salute dei cittadini. Legambiente continuerà a vigilare e ad informare la cittadinanza sulla situazione dell’area ex Razzaboni. L’auspicio è che il percorso di risanamento e riqualificazione dell’area che finalmente ha preso il via si concluda in tempi rapidi, e si possano trovare velocemente i fondi per guarire la ferita inferta al territorio inferta da imprenditori senza scrupoli”.

Ufficio stampa – Legambiente Emilia-Romagna

Gianluca Stanzani:
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