Persiceto Sport: Leone Jacovacci, una storia di boxe e di pregiudizio del Ventennio

In omaggio alla data del 25 aprile pubblico un mio articolo su un eroe sportivo discriminato dal regime di allora per il colore della pelle: Leone Jacovacci.

Roma Stadio Flaminio, domenica 24 giugno 1928, davanti a 40.000 persone va in scena un incontro di pugilato che assegna il titolo europeo dei pesi medi.
Da una parte abbiamo Mario Bosisio, tecnico, bianco come il latte e milanese, mentre dall’altra troviamo Leone Jacovacci, potente, colored e romano.
Due italiani sul ring con in palio la cintura di campione europeo dei pesi medi, anzi no solamente uno dei due contendenti è ritenuto veramente italiano: Ettore Bosisio.
Leone Jacovacci essendo meticcio, nato nel Congo Belga in seguito ad una relazione tra un agronomo italiano ed una ragazza indigena, potrà vantare la cittadinanza italica solo dopo un infinito iter burocratico ostacolato a più non posso dal regime del ventennio.
Il match, combattuto davanti a Giuseppe Bottai e Italo Balbo ma anche ai giornali e cinegiornali dell’epoca, non ha storia: Jacovacci stravince contro Bosisio. Una soddisfazione immensa per Leone dopo che gli era stata letteralmente usurpata la meritata vittoria nell’incontro precedente, assegnata invece all’avversario milanese ai punti.
La vittoria del titolo di campione europeo dei pesi medi di Roma non si rivela però come se l’aspettava il buon Leone.
Da quel giorno, e da quella vittoria, inizia proprio il declino del nostro eroe.
Inaccettabile per quei tempi che un “colored italiano” abbia la meglio su un “bianco italiano”, divenendo addirittura campione di pugilato.
Con il suo titolo guadagnato sul ring della boxe Leone si stabilirà in Francia e verrà progressivamente isolato dal regime; l’ostracismo di chi comandava in Italia a quei tempi, unito al declino fisico portò Jacovacci all’abbandono dell’attività sportiva.
Mori nel 1983 a Milano, dove aveva trovato lavoro come portinaio di un condominio.
Definire avventurosa la vita del pugile italiano è assai riduttivo: allevato a Roma dai nonni paterni, alla loro morte è costretto ad emigrare in Inghilterra per sfuggire da una Italia sempre più razzista.
Nella terra d’Albione combatte da prima come soldato con il nome falso di John Douglas Walker, e poi come pugile sul ring con il nome altrettanto falso di Jack Walker.
Nelle sue avventure non poteva mancare la Francia, paese in cui il nostro atleta stupirà il mondo intero per le sue straordinarie vittorie sul ring, ma soprattutto per la confessione di essere un pugile italiano e di avere sempre mentito sulle sue origini.
Il grande pubblico italiano accolse favorevolmente questo grande campione, mentre per il regime era inaccettabile che un colored rappresentasse un paese come era l’Italia di quei tempi.
Ironia della sorte, nel 1987 Sumbu Kalambay diventerà campione del mondo di pugilato, primo italiano di colore a riuscire nell’impresa, riscattando la figura e le vittorie nonché l’immagine tanto volutamente nascosta di Leone Jacovacci.

Enrico Adriano Belinelli

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