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Legambiente su calendario venatorio Regione

“C’è davvero bisogno di allargare le maglie ad attività non necessarie, com’è la caccia, in questo momento segnato dalla tragedia della pandemia?” Questa la domanda che Legambiente pone, relativamente alla scelta della Regione che, lo scorso 4 maggio, ha approvato il calendario venatorio 2020/2021 ed il piano di gestione del cinghiale.

Che siamo ancora in emergenza COVID 19 è un fatto noto a tutti, come è certo che con questo virus dovremo continuare a convivere e che le misure di contenimento della diffusione del contagio saranno indispensabili per parecchio tempo per evitare il riacuirsi della pandemia. In tutti campi la sottolineatura delle istituzioni è “dobbiamo riprendere, ma attenzione, niente sarà più come prima”. Una regola evidentemente non applicata all’attività venatoria: tutto viene autorizzato come prima, anzi la Regione dà ancora più libertà di sparare.

Legambiente ha cercato di interloquire con la Regione sui contenuti della proposta di calendario venatorio regionale, prima con la commissione Consigliare – che ha discusso l’atto a fine aprile – e poi con una successiva Petizione a Bonaccini e alla Giunta.

Purtroppo non si è ricevuta alcuna risposta, e pochi giorni dopo in fretta e furia, il 4 maggio scorso, la Regione ha approvato il calendario.

Nessuna interlocuzione dunque ma la volontà di andare dritti a dare il via libera alla caccia.

Ricordiamo che la caccia è un’attività non necessaria, praticata in Emilia Romagna da 35mila persone di cui circa il 70% sopra i 60 anni di età.

Rispetto agli atti approvati si evince che tutto rimane come prima, anzi peggio. La stagione venatoria inizia con l’addestramento cani in agosto, la preapertura della caccia all’inizio di settembre. Sul piano della tutela della fauna selvatica vengono tutte respinte le indicazioni dell’ISPRA a tutela delle specie ancor oggi cacciabili ma che sono in uno stato di conservazione sfavorevole (SPEC1, SPEC2, SPEC3), sono autorizzate tutte le giornate di caccia ed i periodi possibili, ed è aggiunta una norma (il cosiddetto “abbattimento accertato”) di cui è già stata dichiarata l’illegittimità costituzionale nel 2018 per la Liguria e nel 2019 per la Lombardia.

La situazione è ancora più grave per quanto riguarda la caccia al cinghiale, dove rimangono le stesse forme di caccia collettiva che sono le più impattanti ed esposte ai rischi dell’epidemia. Tra l’altro questo tipo di attività è sempre stato caratterizzato da corollari conviviali pre e post battuta di caccia che, se non adeguatamente controllati dalle istituzioni,  potrebbero aggravare il rischio di contagio. Per un tipo di caccia, che già in tempi normali e causa del maggior numero di feriti e morti ad ogni stagione venatoria.

Infine si introduce il “far west” autorizzando la caccia libera al cinghiale da parte di agricoltori/cacciatori nel proprio terreno. E la sicurezza di tutti gli altri cittadini?

Tutto questo mentre la vigilanza volontaria, fatta da persone preparate ed appositamente formate al rispetto delle leggi, viene dalla Regione lasciata a casa. Forse i controlli a difesa dell’ambiente e degli animali non sono attività equiparabili a servizio pubblico, quindi necessarie, oppure non servono o danno fastidio in Emilia Romagna?

“Le scelte compiute dalla Regione Emilia-Romagna sono incomprensibili e profondamente sbagliate, creano un precedente pericoloso di disparità tra la maggioranza dei cittadini che dovranno giustamente mantenere un alto senso di responsabilità, cambiando comportamenti e abitudini, e pochi cittadini che invece saranno autorizzati al proprio passatempo senza responsabilità, anzi peggio di prima. Per questi motivo chiediamo di rivedere subito questa scelta sconsiderata.”

Ufficio Stampa – Legambiente Emilia Romagna

Gianluca Stanzani:
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