Le interviste di CBN: Stefano Calzati

Questo mese l’intervista di CBN ci svela le passioni di Stefano Calzati.
Giovane insegnante e ricercatore, originario di San Giovanni in Persiceto, per Stefano “lo scrivere e il viaggiare”, un po’ per lavoro e un po’ per rifugio personale, si susseguono e si mescolano in un divenire continuo. La strada e la penna – potremmo dire – scandiscono i momenti caratterizzanti della sua vita, ed ora, in vista dell’uscita del suo libro “In Vietnam: digressioni di viaggio” (Prospero Editore) cogliamo l’occasione per approfondire cosa significhino per lui “l’andare e lo scrivere”…
Il libro intreccia le sue due passioni principali: il viaggio e la scrittura. Un binomio interessante, ci spiega com’è nata l’idea?
Direi che questa idea non è nata in un particolare momento, piuttosto sono nato con questo binomio di passioni: mi è sempre piaciuto scrivere e, un po’ per curiosità personale, un po’ per lavoro, mi sono trovato a viaggiare parecchio e a vivere all’estero a lungo. Da qui, la voglia di combinare questi due aspetti sia per svago che professionalmente, tanto che pure il mio dottorato di ricerca si focalizza sulla letteratura di viaggio.
Perché ha deciso di compiere un viaggio in Vietnam in questa sua fase del la vita? Forse mosso da un particolare bisogno interiore?
Il viaggio in Vietnam arrivò a conclusione dell’anno che trascorsi in Australia, a Melbourne, dove ho insegnato
italiano nelle scuole e lavorato per la SBS Italian Radio. In effetti, nell’incipit del libro lo definisco un viaggio di
“decompressione”: il Vietnam mi aveva sempre affascinato, ci sono stati diversi fattori che hanno reso possibile quel viaggio e per tutto quel tempo (circa un mese e mezzo). Per altro era gennaio e se fossi rientrato subito mi sarei trovato di nuovo in pieno inverno.
Questa sua esperienza, che l’ha portata fisicamente in un luogo lontano per compiere una indagine introspettiva, quale apporto ha fornito rispetto alla sua “ricerca personale di equilibrio”?
Onestamente mi sento in equilibrio con me stesso soprattutto quando sono in viaggio, on the road, a prescindere da dove. Certo il Vietnam è un paese dove si avverte ancora una certa spiritualità e l’ossessione per il successo materiale non è ancora così marcato. Per cui questo può aiutare a (ri)pensarsi diversamente. Tuttavia, ogni viaggio rappresenta sempre un’esperienza a sé stante e di apertura interiore ed esteriore: un paese trasmette sensazioni diverse a persone diverse, ma anche alla stessa persona in tempi differenti. È un mix che non si può prevedere.
Ad un certo punto ci si sofferma sulla condizione umana odierna, quali sono le sue riflessioni in merito?
A dire il vero nel libro (così come nella realtà) il viaggio riflette per me un modo che mi consente di mettere in moto i pensieri: gli episodi che si susseguono durante il percorso diventano quindi spunti per riflessioni più ampie, anche per rendere il racconto più vario. Difficile in poche righe riassumere tutto quello che quel
viaggio mi ha consegnato (bisogna leggere il libro!): di certo ciò che emerge è una condizione che oscilla tra vitalità e precarietà, ma non mi sentirei di estenderla indistintamente a tutti, ci mancherebbe.
Alla luce di questo suo percorso, quale messaggio intende consegnare a questa nostra società moderna, frettolosa e iper-connessa, in cui si vive immersi nella tecnologia e in sistemi di rete dove (quel che è peggio) spesso si agisce senza avere un’adeguata consapevolezza alla dimensione digitale?
Credo che il viaggio e la scrittura siano due pratiche da difendere a tutti i costi poiché possono rappresentare due ottimi antidoti all’accelerazione meditizzata della nostra quotidianità. Se non altro, il viaggio contribuisce (ancora) a metterci davvero in contatto con l’Altro (a patto che poi si sia disposti a conoscerla, questa diversità), mentre la scrittura può aiutare a rendere le nostre idee più solide, ponendole in prospettiva e sfrondandole della loro immediatezza. Senza dubbio viviamo una contemporaneità particolarmente frenetica e sorda, sempre più iper-connessa, ma nella quale, proprio per questo (seppure possa sembrare un paradosso), concediamo sempre meno (di noi, del nostro tempo, del nostro spazio) a chi ci circonda.
Laura Palopoli

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