Le interviste di CBN: Diego Stellino

Questo mese l’intervista di CBN accende i riflettori su un’altra storia… anzi, tante storie che si intrecciano l’una con l’altra… come ci racconta Diego Stellino quando parla dei suoi progetti. Lui, fotografo professionista, vive a Lippo di Calderara ed è padre di due bambini. Attraverso il suo obiettivo ritrae volti e luoghi che difficilmente passano inosservati… le immagini che scaturiscono dai suoi scatti non sono solo istantanee ma spaccati di vita. Da anni il suo impegno come volontario, che si sostanzia in più attività, lo sta portando in giro per il mondo per compiere una missione, che va oltre il senso dell’appartenere ad un unico paese.
Da dove iniziamo? Raccontaci delle tue passioni.
Diciamo che, accanto al mio lavoro, ho sempre sentito il bisogno di tenermi impegnato in attività che percepisco utili per fornire aiuto a chi ne ha bisogno. In particolare la fotografia e il mio essere attivo come volontario sono due componenti fondamentali nella mia vita che, a volte, si intersecano e si completano a vicenda. Nel 2009, dopo il terremoto d’Abruzzo, sono partito con la Protezione Civile per l’Aquila in soccorso alle popolazioni colpite dal sisma. Successivamente, insieme alla Croce Rossa, ho seguito altri interventi e pian piano mi sono spinto oltre i confini italiani.
A questo punto parlaci dei tuoi viaggi e di cosa fai in queste terre, vicine o lontane da noi.
Dapprima sono stato in Siria, poi in Romania, Bosnia, Nicaragua, Turchia, Kenya e Tanzania. In molti di questi luoghi sono andato con organizzazioni umanitarie e nei vari territori ho svolto reportage sociali, ovvero fotografie e video, attraverso i quali mettere in evidenza lo stato di vita di queste persone, parlare della loro quotidianità e del loro vissuto (a volte sono state vere e proprie interviste). Poi nel 2015, per ragioni che ora non approfondisco, ho deciso che la mia attività avrebbe continuato senza l’intermediazione di organizzazioni e così ho iniziato a spostarmi da solo. In Kenya avevo dei contatti per via delle precedenti esperienze e un po’ alla volta, interagendo con loro, ho creato delle reti logistiche entro le quali oggi riesco a muovermi. Sono stato nello Slum che è in pratica la zona più povera della periferia urbana dove le persone vivono a ridosso della discarica per sopravvivere. E questa è stata senza dubbio una delle esperienze più forti del mio percorso.
Cosa ti spinge a compiere questo tuo impegno?
Sicuramente il mio essere appassionato di fotografia ha determinato parte di ciò che sono, nel senso che il fotografo generalmente è una persona curiosa e alla ricerca di sensazioni da trasmettere. Ecco allora che il mio partire è mosso dall’andare a indagare ciò che ancora non conosco o di cui vorrei sapere maggiormente. È come se i vari popoli nel mondo oscillassero con una frequenza di risonanza propria e io vorrei cogliere quella frequenza… stabilirne un contatto per renderla percettiva agli altri.
Ma torniamo alle persone che hai conosciuto nello Slum di Nairobi, cosa ne è scaturito da questa esperienza?
Nel 2015, dopo un periodo di intenso lavoro per l’elaborazione di un servizio in loco (parliamo di oltre 40 interviste e diversi scatti fotografici), sono tornato a casa con l’obiettivo di “sponsorizzare” alcune delle persone appena conosciute in Africa – in particolare bambini e donne difficoltà – per vedere di avviare un percorso di studio, o di avvio al lavoro, a loro beneficio. È a questo punto che, insieme ad altre due persone (siamo in tre soci fondatori) è nata SlumChild Onlus. È un’associazione che, come si intuisce dal nome, si occupa in modo specifico di bambini (ma non solo) con lo scopo di trovare sponsorizzazioni e sostenitori grazie ai quali andare ad attivare in loco progetti specifici per le persone – tante, troppe – che vivono in condizioni di reale miseria nello slum e dintorni.
SlumChild Onlus quali progetti si prefigge per il futuro?
Ecco, già la parola “futuro”, per chi vive nello slum, è una prospettiva difficile da prefigurarsi. Dunque l’idea è quella di lavorare sui bisogni primari delle singole persone, avviando per ognuno dei percorsi differenziati e personalizzati. Mi spiego meglio: a seconda della famiglia (anche capire se c’è o meno), e delle attitudini del bambino/adulto, vediamo di mettere in piedi non tanto un aiuto dettato dall’emergenza del momento, bensì di attivare sinergie e contributi che favoriscano il percorso di crescita di queste persone in modo che possano davvero avere un istruzione e un lavoro per il loro futuro. Il progetto in realtà nasce con la forte ambizione di arrivare a creare una struttura (e relativa cultura) idonea da poter consentire a questi bambini di andare a scuola non solo nel primo ciclo (previsto fino agli 8 anni di età) ma anche al secondo (che arriva ai 12) e di continuare a seguirli nell’avviamento al lavoro organizzando, intorno a loro, una comunità di sostegno. Ovviamente ci vorrà del tempo per realizzare tutto ciò che abbiamo in previsione, ed anche contributi economici. Per questo in parallelo abbiamo attivato diverse iniziative (come la raccolta dei tappi di bottiglie di plastica sul territorio di Calderara, che vengono così riciclati secondo un sistema virtuoso e il cui ricavato viene devoluto alla nostra Onlus) per intercettare ogni tipo di gesto che possa contribuire fattivamente al nostro progetto. Per info e donazioni, ecco il sito: www.slumchild.it

Laura Palopoli

Potrebbero interessarti anche...